DOVE ANDRÀ IL MERCATO?
Presto avremo 50 miliardi di oggetti collegati alla Rete e quindi – secondo quanto tracciano i massimi esperti mondiali – non definiremo ‘tecnologici e smart’ solo telefoni, stampanti, televisori, frigoriferi o macchine per il caffè, ma anche oggetti di uso comune, come scarpe da corsa, biciclette, vasi, finestre, caschi, cerotti, pensiline dell’autobus…e così via. D’altra parte la connettività diventerà propria di tutte le cose e non solo dei technical goods. Un cambio di paradigma profondo di cui questa edizione del CES si è fatta vetrina, dando spazio anche a chi nel mondo della tecnologia ‘classica’ individua nell’Internet delle Cose – a cominciare da tutto il mondo dei wearable – la nuova frontiera verso cui ci si muoverà. D’altronde realtà prestigiose come colossi della portata di Samsung o Intel hanno già deciso d’investirci in maniera consistente, anche se la stessa manifestazione di Las Vegas si è chiusa con qualche dubbio sull’effettivo interesse da parte del consumatore e sulla concretezza di business di moltissimi dei gadget intelligenti che si sono visti negli oltre 200 mila mq di esposizione. Ma, al di là di quanto e di quando questo nuovo paradigma sarà in grado di produrre acquisti e quindi fatturati, siamo sicuri che questo sarà il futuro e il futuro da auspicare al mercato technical? Poniamo queste domande perché, per cominciare, il mercato che l’Internet delle Cose traccia sembra essere molto poco di massa e tanto di nicchia, anzi fatto di tante nicchie. Shawn DuBrac, economista che lavora con la Consumer Electronics Association americana proprio a un keynote del CES è arrivato ad affermare: “Si sta aprendo la terza rivoluzione industriale: se prima i nuovi prodotti tecnologici che venivano lanciati entravano nel 90% delle case, ora ci aspettano oggetti sempre più personalizzati e sempre più destinati a singoli segmenti di consumatori”. Se questo si avverasse vorrebbe dire però che servirebbe un nuovo modello di business e industriale, e anche molto diverso da quello che ancor oggi – per cominciare – è tarato, per vivere, a immettere anche centinaia di milioni di unità, pensiamo al mercato Tv e smartphone. Ma, servirebbe anche di un modello distributivo molto diverso, non solo perché destinato a coprire tante nicchie di mercato, ma anche perché queste nicchie saranno anche liquide, ovvero con potenziali acquirenti e luoghi di acquisto molto più ‘multi e cross’ degli attuali. Senza contare che questo sembra anche preludere a un cambio profondo di player, in primis sul fronte dell’industria. Quanto stiamo già vedendo con gli smartwatch o gli smartband è già un primo assaggio. Quindi, ripetiamo, siamo sicuri che questo sarà il futuro del mercato technical? E soprattutto, siamo sicuri di essere pronti a questa rivoluzione?
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