Oggi è inequivocabile, la priorità del canale è una sola: generare fatturato. Mai come in questo momento bisognerebbe però che i player della distribuzione si fermassero almeno un attimo a riflettere su un punto fondamentale: quale esperienza di visita e di acquisto i pv eldom stanno offrendo ai consumatori? Non pensiamo di dire nulla di non condivisibile nell’affermare che in tanti casi è deludente. Lineari confusi, spesso con numerosi ‘buchi’ o duplicazioni per mancanza di prodotto, aree espositive ‘abbandonate’ e sparse all’interno di layout allineati alla realtà di mercato di anni fa, tante ceste e pile di prodotti in promozione, per non parlare delle comunicazioni superate, dei pochi addetti alle vendite, in taluni casi latitanti o impreparati e poco disponibili, dei punti cassa e desk d’assistenza non presidiati, e potremmo continuare. Oggi sembra che parte del canale non si renda conto che il cliente non entra nei pv esclusivamente per il prezzo e quella parte che, invece, ne è consapevole, si sforzacomunque solo di usare quella leva e di farlo indistintamente su tutte le categorie. Il risultato è che oggi alcuni store (per non dire molti) offrono un’esperienza quasi da discount degli anni 90, certamente non da superficie specializzata. Le ricadute sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dal calo della capacità d’attrazione dei negozi eldom rispetto ad altri settori del retail e dal mix di vendita sempre più schiacciato verso le fasce entry e le offerte promozionali. Certo, si dirà: offrire un’esperienza in grado di richiamare e di gratificare in tutte le sue componenti i consumatori costa e oggi, al contrario, i costi vanno tagliati. Il rovescio della medaglia è però che svuotando – per non dire svilendo – tutte queste leve della shopping experience a partire da quella del supporto all’acquisto, non solo la produttività e la redditività a mq sono destinate a calare – anche in quelle categorie che hanno tuttora maggiori capacità di generare fatturato e marginalità, come il ged e il ped -, ma in più si rinuncia al vero patrimonio competitivo dei negozi fisici facendo solo la ‘fortuna’ di quelli virtuali. Rendersi conto di questo cortocircuito è assolutamente fondamentale, ma lo è soprattutto provare a rompere questo appiattimento, che è anche in primo luogo un appiattimento mentale. La collaborazione dell’industria su questo terreno siamo certi può essere raccolta e anche con grande disponibilità, tanto cherecentemente un manager di un noto brand ci ha confessato: “Sarebbe un sogno che almeno un retailer mi chiedesse un contributo per aumentare gli addetti alle vendite e non per fare un sottocosto”. Quindi, almeno che si provi a farlo, anche perché “il tempo stringe”…
Già da solo il tema lanciato da questo editoriale conferma la difficoltà del momento che il mercato technical e il canale eldom stanno attraversando, la portata delle sfide che porta con sé e la necessità di affrontarle con decisione e coraggio, tralasciando ogni immobilismo e ogni illusione sulla tenuta dello status quo. Di questo siamo convinti in prima persona, tanto da decidere di ripensare la struttura e lo stile, ma anche il taglio di Trade Bianco, compresi i punti fermi che hanno reso da sempre forte e autorevole questa testata. Il cambio grafico e di struttura è evidente, ma il nostro sforzo da questo ‘primo’ numero andrà anche nella direzione di essere ancora più vicini al mercato e più profondi nell’analisi, con la convinzione di sempre: quella che una rivista come Trade Bianco deve offrire spunti di riflessioni se non addirittura delle provocazioni e non semplicemente informazione. Buona lettura.
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