IL PUBBLICO GIOVANE E L’UOVO DI COLOMBO
Ammettiamolo. Siamo tutti alla ricerca dell’uovo di Colombo: di programmi, anche di uno solo, che facciano fare il balzo sulla sedia a quei giovani disamorati del piccolo schermo e ormai smartphone-addicted. Basta andare alle fiere televisive di Cannes per rendersi conto che è questa la pietra filosofale sulla cui messa a punto si affannano gli alchimisti delle reti e delle società di produzione internazionali. L’assenza di una soluzione non dico definitiva, ma contingente, è tale che sarebbe giunto il momento di chiedersi seriamente se ormai non bisognerebbe piuttosto rassegnarsi al fatto che la televisione sia ormai un mezzo solo sporadicamente giovane, e più spesso maturo se non adulto, finanche anziano. Se così fosse, non ha torto chi – come viene riportato nel servizio a pag. 35 – ha virato la propria programmazione dal target giovane a quello giovanile, pensando a una platea ragionevolmente ampia, in grado di attrarre nel caso dal 20enne al 40enne. Il che implicherebbe voler dire che ci troviamo in una società in cui la maturità di giudizio e l’esperienza vissuta non hanno più la valenza che avrebbero potuto avere fino a pochi decenni or sono. Ma questa è un’analisi che va lasciata più alla lettura dei sociologi anziché dei “televisionari”… D’altra parte, sotto il profilo del puro contenuto, la plastica dimostrazione che il fenomeno delle webseries non sia riuscito a oggi a travasare alcuna sua componente innovativa nella cugina fiction seriale, la dice lunga sul fatto che la ricerca di questo Santo Graal (ammesso, ripeto, che esista) sarà ancora lunga, tortuosa e pure costosa. A meno che alla fine non si arrivi piuttosto alla classica scoperta dell’acqua calda, nel senso che presto o tardi potremmo accorgerci che sarebbe bastato qualcosa di semplice, quasi banale, per far rientrare la televisione nella dieta mediatica di teenager e ventenni. Si vedrà. Intanto, bisogna rendersi conto che i primi smartphone per l’intrattenimento multimediale sono stati commercializzati intorno al 2007, diventando nel giro di pochi anni il supporto principe attraverso il quale i giovani fruiscono di contenuti. Dunque, è poco meno di 10 anni che essi sottraggono tempo e attenzione alla televisione, se poi si aggiunge la competizione di tablet e computer, il gioco è fatto. Oggi ci sono ventenni che hanno passato davanti al loro smartphone di gran lunga più ore di quanto non ne abbiano trascorse i quarantenni davanti al televisore nella loro intera esistenza. Ciò significa che quando queste abitudini di consumo si consolideranno ulteriormente (e potrebbe bastare meno di un altro decennio), la televisione come la conosciamo adesso non esisterà più. E tutto questo va ben oltre e più a fondo della retorica dei palinsesti su misura dettati dall’on demand. Quindi? Quindi va detto che l’industria televisiva nel suo insieme e le reti prese a una a una commetterebbero un imperdonabile errore strategico, per non parlare degli inserzionisti pubblicitari, se si arrendessero dando ormai per persa questa battaglia. Ma va anche aggiunto che non basta dare un lato social a un programma per renderlo giovane, ma che occorre investire (tempo, soldi e uomini) in una forte strategia crossmediale per fare in modo che il pubblico che esce dalla porta rientri, contento e attento, dalla finestra. Se così non fosse, prepariamoci tutti a cambiare presto mestiere…
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