Stiamo morendo di pubblica (dis)amministrazione
Va bene la crisi e la bolla finanziaria. Capiamo l’evoluzione tecnologica, che distrugge più posti di lavoro di quanti ne crei. Pazienza la globalizzazione e tutto ciò che ne consegue. Siamo rassegnati alla debolezza dell’euro e dell’Europa. Ci siamo fatti una ragione delle turbolenze internazionali legate alla strategia del terrore. E potremmo anche continuare con l’elenco di ciò che non va e che seguita a non marciare. Ma, tra le altre cose, va detto e sottoscritto che stiamo anche e soprattutto morendo di inefficienza (ergo di consunzione), senza alcun segno di ribellione, se non quel diffuso quanto deleterio moto di populismo senza se e senza ma. Non saranno sfuggiti infatti ai più, i risultati di un recente studio condotto dal Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale ogni anno in Italia i costi dell’inefficienza della pubblica amministrazione sopravanzano l’importo complessivo di una media manovra finanziaria: ben oltre 30 miliardi di euro. Lo studio tiene conto non solo dei costi manifesti, ma anche di quelli più o meno occulti, relativi alla corruzione e alla “parzialità” nell’erogazione dei servizi che costituiscono altre pesanti zavorre di cui non solo i cittadini, ma anche l’imprenditoria italica è costretta a farsi carico per sopravvivere. A tal proposito, la sempre benemerita Cgia di Mestre, infatti, ha fatto notare che se la Pa avesse a livello nazionale la stessa qualità media, il nostro pil salirebbe di ben due punti su base annua. Altro che le anemiche crescite dello 0,0 qualcosa, di cui siamo stati costretti ad accontentarci in tempi recenti, di cui pare dovremmo essere addirittura soddisfatti… Detto questo, lo studio in questione fa notare come all’interno del contesto europeo l’Italia guadagni la posizione 17 su 23, immediatamente dopo Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria, per essere seguita da Grecia, Croazia, Turchia, Bulgaria, Romania e Serbia. C’è quindi ben poco, pochissimo, anzi nulla di cui stare allegri, anche perché su 206 territori rilevati, ben sette delle nostre regioni – nell’ordine Sardegna, Basilicata, Lazio, Sicilia, Molise, Calabria e Campania – figurano nelle ultime 30 posizioni. A nostro discapito non possiamo neanche accampare la scusa che mancano – come siamo soliti fare per aggirare ogni ostacolo e rimbalzare le responsabilità – le leggi che disciplinano il settore, dato che sono state ben 18 le riforme in materia negli ultimi 25 anni. Per non parlare dell’ultima, la legge Madia, bocciata ignominiosamente dalla Consulta. Quindi, regolamenti e quant’altro esistono, ma come al solito sono disattesi, applicati in modo scorretto, oppure sono talmente tanti e mal scritti da sovrapporsi e contrapporsi tra di loro, annullandosi a vicenda quando non peggiorando (il che accade spesso) la situazione che intendono regolare.
Ritornando quindi al ragionamento iniziale, come Paese siamo certamente costretti a subire nostro malgrado eventi e fenomeni comuni su scala generale e internazionale, ma continuare a non porre rimedio a un problema interno, di cui si ha da tempo consapevolezza, rimane uno dei segni più indelebili e ingiustificabili della nostra incapacità di costituire un livello accettabile di efficienza per i servizi erogati dallo Stato a cittadini e imprese. E a chi sta pensando che comunque sia l’Italia vanta fulgide eccellenze anche in campo pubblico (sanità al Nord, forze dell’ordine, centri di ricerca, istituti universitari, solo per citarne alcune), basterà far notare che è vero, ma che per risalire la china da quel devastante e umiliante 17esimo posto che ci siamo guadagnati in Europa, bisognerebbe trasformare senza indugi tali fulgide ed eccezionali rarità in scontate e banali normalità.
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