Meno populisti, più liberisti
Sinceramente non so se augurarmi che quando questo numero di
Dunque, bisogna tornare a ragionare per arginare le derive demagogiche che risultano, in questo momento, avere la meglio sulla scena politica per ricominciare a parlare di quel che serve all’economia, e perciò al Paese.
Come? Riportando in agenda alcuni ingredienti di quella ricetta liberista, ostentata dai più ma mai eseguita a dovere. In primis aprirsi al nuovo che avanza, adattando – rapidamente – scuola, formazione, aziende, burocrazia e leggi alle esigenze di innovazione che promanano dalla realtà: non avere paura dei cambiamenti ma cavalcarli, senza penalizzare chi corre più degli altri, bensì mettendo tutti nelle condizioni di avere la stessa possibilità di accesso al mercato. Così come bisogna cominciare a ragionare seriamente sulla detassazione dei redditi delle imprese, in modo che tali risparmi possano essere reinvestiti nella produzione e di conseguenza restituiti alla comunità in termini di stipendi, bonus e dividendi. In un’epoca in cui, grazie alla Brexit e a Donald Trump, siamo tornati finanche a parlare di dazi, occorre rivalutare i meriti della libera circolazione delle merci e delle persone, apprezzare e valorizzare le diversità culturali per renderle occasioni di crescita e di sviluppo. Perché l’Italia, e l’Europa con lei, ha bisogno di rinascere a nuova vita, dove non siano limiti e condizionamenti a dettare le regole, ma la voglia di fare e di uscire dal pantano in cui noi cittadini siamo finiti senza averne alcuna colpa, se non quella di continuare a credere nella democrazia.
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