I TEMPI? STANNO (pare) PER CAMBIARE
Il sipario si apre con una citazione di The Times They Are a-Changin’ di Bob Dylan, parole che suonano come una promessa che alla fine si tramuterà in minaccia (almeno per la concorrenza). La messinscena è quella della ripartenza delle schermaglie tra Mediaset e Sky a suon di calcio, durante la quale si saprà che gli esponenti senior e junior dei due clan Berlusconi e Murdoch si stimano vicendevolmente, il che è confortevole per gli umani destini, mentre invece parrebbe che si sopportino meno le rispettive aziende. E ci sta, anche se… Già, perché alla presentazione della nuova offerta d’attacco di Mediaset Premium, rinominata per l’occasione Premium Mediaset (per i particolari vedi articolo a pag. 25), il management di Cologno, con il neo-ad nonché vicepresidente Pier Silvio in prima fila, hanno detto cose poco carine sull’operato di Sky. Nell’ordine: la piattaforma sarebbe scorretta nei confronti dei vecchi abbonati che tratta peggio dei nuovi, i quali a loro volta verrebbero gabbati da “sconvenienti” offerte in bundle con gli operatori telefonici, per non parlare dei “trucchi e costi nascosti” sulle tariffe; avrebbe ormai una struttura tecnologica superata; ha perso il primato della casa del calcio (vedi l’esclusiva sulla Champions passata di mano al Dtt pay che è ormai diventata un tormentone senza possibilità di ritorno); avrebbe messo insieme pacchetti esageratamente flessibili che complicano la vita degli abbonati; capirebbe poco o nulla di intrattenimento, visto che la sua offerta sarebbe ininfluente in termini di appeal per nuovi abbonamenti, mentre lo sarebbe solo a beneficio della stampa, il che lascia intendere che il vicepresidente Andrea Scrosati, artefice di cotanto exploit andrebbe accompagnato alla porta, così come – parrebbe intuire – l’ad Andrea Zappia le cui scelte si sarebbero rivelate poco strategiche. Risultato? Ora che la piattaforma satellitare sarebbe più debole (o meno forte, a seconda che si voglia vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno) loro andranno a stanare gli abbonati Sky a uno a uno, casa per casa, perché bisogna passare entro l’anno da 1,75 a 2mln, tanti se si considera che le ricerche stimano che tra il 2015 e il 2018 tutta la tv pay tricolore dovrebbe crescere solo di 500mila unità, passando dagli attuali 6,5 circa a 7,1mln. Ciò significa che si dovrebbe verificare una sensibile transumanza dal satellite, visto che dei 2,6mln di abbonati allo sport il 90% avrebbe acquistato almeno un match di Champions. E, se tanto mi dà tanto, chi può escludere che non desiderino fare altrettanto in futuro? Il ragionamento non fa una piega, anche se l’offerta è convincente ma non è detto che sarà sufficiente. Perché malgrado Berlusconi si sia affrettato a sottolineare come fino a oggi la sua piattaforma pay abbia i conti a posto (!) e che è stata fatta per salvaguardare i posti di lavoro e per difendere il core business della generalista, quello sì vocato ai ricavi mentre la pay avrebbe un mero ruolo difensivo nei confronti di un competitor ingombrante come Murdoch, il Biscione deve rientrare di un bel po’ di investimenti: 210mln per la Champions all’anno, circa 370mln a stagione per la serie A, più gli accordi milionari per le esclusive di serie e film delle major Warner e Universal nonché le fee per i canali terzi ospiti, solo per citare a spanne le spese per i diritti, trascurando quelle correnti. Per rientrare di cotanto investimento (il break even sarebbe previsto entro il triennio), l’arpu dovrebbe schizzare decisamente verso l’alto: altro che i 275 euro annui attuali contro i 506 del diretto competitor! Sempre che Sky rimanga solo a guardare e non passi al contrattacco, cambiando il terreno di scontro e portandolo sulla free (vero core business di Biscione), dove dovrebbe passare di mano il numero otto dell’Lcn Dtt, quello della Mtv perennemente in vendita e sulla quale mister Murdoch avrebbe (pare) posato lo sguardo. Allora sì, che il leggendario menestrello di Duluth potrebbe avere di che cantare…
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