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Si possono fare alcune riflessioni in questo primissimo scorcio del 2014, soprattutto alla luce dei recenti risultati di un’indagine Demos-Coop. E possono partire dal dato secondo cui risulta che dal 2007 al 2013 la tv ha perso un tondo 7% di affezionati utenti che prima la usavano tutti i giorni per tenersi informati (80%). Circa il 5% hanno lasciato i quotidiani (25,4%), mentre tiene la radio (39,5%) e registra letteralmente il raddoppio internet, passando dal 24,8% all’attuale 46,9%. Ovviamente il fenomeno non stupisce, visto che la Rete è diventata ormai quasi lo strumento principe di socializzazione. Tanto quanto di alienazione… E se poi si va a vedere come tutti i programmi di approfondimento e inchiesta abbiano in parte perso la fiducia del loro pubblico, a eccezione del solito Report che invece cresce, si capisce la ragione di questa fuga dall’informazione del piccolo schermo. Si aggiunga a ciò che nel periodo di garanzia autunnale la platea ha smesso di aumentare, mettendo di fatto la parola fine al ciclo espansivo generato dall’avvento dell’all digital, e che attualmente i broadcaster si trovano a spalmare budget sempre più risicati, a causa dei ricavi adv in costante discesa (stimata su base annua intorno a un -12%), su più canali. Col risultato che si comprano più diritti e si produce di meno, e quello che si fa nove volte su dieci ha i crismi del déjà vu. Siamo alle solite, o forse no… Perché a ben guardare tra le pieghe dei canali, si fa strada la convinzione che un’altra tv sia possibile, sia in fatto di credibilità che di identificazione. Vedi quel gioiellino di RaiFiction rappresentato da Una mamma imperfetta e l’altra chicca targata RaiTre di Sconosciuti, senza dimenticare la provocazione de Le iene, la sontuosità di X Factor piuttosto che la passione di MasterChef. Boccate d’ossigeno in una programmazione ammorbata da beghe politiche, cronaca nera e agiografie italiche. In più si fa strada una variante social che, a volerne seriamente approfittare, gode di ampi margini di ottimizzazione. Soprattutto alla luce del fatto che presto dovrebbe sbarcare anche in Italia Nielsen Twitter Tv Ratings, che avrà il compito di misurare l’apprezzamento del pubblico nei confronti di un determinato programma in termini di cinguettii prodotti. Il che si presterebbe soprattutto ai programmi in diretta, ma non solo, visto l’engagement generato da certe serialità come Homeland, Il trono di spade piuttosto che Breaking Bad, solo per citare alcuni titoli. E altrettanto si potrebbe dire per le condivisioni attraverso Facebook e YouTube. A voler ragionare in termini prospettici, l’informazione – su cui in autunno hanno accelerato tutti i canali generalisti perché meno costosa – sta depositando la sua patina di politicume su tutto il resto. Mentre al contrario è sempre più necessario pensare contenuti in grado di farsi permeare dalla capacità di interazione con la realtà propria dei social. È questo ciò su cui si interrogano i grandi produttori internazionali, ed è quanto dovranno pretendere le piattaforme per i propri palinsesti. Restituire credibilità e autorevolezza al piccolo schermo è la sfida della nuova stagione che avanza. Non solo nell’informazione, ma anche nell’intrattenimento e nelle fiction originali. Anche alleandosi in maniera più sinergica con l’arcinemica Rete. È tempo di smetterla con il racconto addomesticato per poter piacere alla più ampia platea di mediocri possibile. Se bisogna innestare un’inversione di marcia mettendo sul piatto il rischio di lasciare ancora sul terreno una quota di audience, lo si faccia. È il ragionevole tributo per poter uscire dall’impasse.
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