La crisi? Speriamo che sia lunga
Che anno si apre per il sistema radiotelevisivo italiano? Archiviato un 2008 in cui la famigerata riforma Gentiloni è passata dalle stelle delle aule parlamentari alle stalle del dimenticatoio mediatico e politico, che scenari si prefigurano per chi intende fare business o mero servizio pubblico nel nostro Paese? Difficile, ma non impossibile, a dirsi. Soprattutto in considerazione del fatto che in periodi di vacche magre le aspettative si limitano, nella migliore delle ipotesi, a far pareggiare entrate e uscite: tagliando i costi e presidiando i ricavi. Perciò è facile prevedere l’adozione di politiche attrattive da parte delle concessionarie per coinvolgere anche gli inserzionisti più riottosi, e la reazione da parte dei big spender intenta a mantenere – malgrado tutto – un’elevata visibilità del brand. Pena la svalutazione dell’intera azienda. I broadcaster invece, s’è già visto, si muovono lungo la scia dell’austerity: imponendo un ridimensionamento degli investimenti in produzione oltre che negli ingaggi, e attuando una politica difensiva destinata a prevenire emorragie e a tenere le aziende sui binari della stabilità economica.
Certo, se la recessione, come prevedono gli ottimisti, dovesse durare solo fino a giugno, si potrebbe parlare di un medio interludio riassorbibile – non in modo indolore – entro l’anno. E nulla più. Ma se, come paventano i realisti, questa situazione di sofferenza dovesse spingersi fino al dicembre 2009, la stasi sarebbe sufficientemente lunga da poter imporre al sistema una seria riflessione sui meccanismi di funzionamento dell’industria televisiva nostrana.
Come, per esempio, suggerire ai centri media di affinare il rapporto con i propri clienti e la propria visione dei singoli mezzi: in primis delle televisioni – dalle generaliste al Dtt – passando per il satellite. Mentre una situazione economica incerta, con platee sempre più mobili tra un broadcaster e l’altro e una piattaforma e l’altra, potrebbe suggerire più che una politica di tagli, una linea di condotta in grado di riformulare sostanzialmente la struttura organizzativa delle singole reti (ciò varrebbe soprattutto per le aziende maggiori) e di aprire a un’ottica editoriale che inverta temi e sistemi produttivi.
Anche perché, per superare questa fase, non ci si può ridurre a tagliare il tagliabile, col rischio di risicare la sussistenza di quanto di buono è stato fatto, o a cambiare tanto per cambiare, con la certezza che – se i parametri di valore rimangono invariati – i risultati saranno certamente negativi. C’è chi, non a torto, ha suggerito di trasformare l’attuale congiuntura in un’opportunità, ovvero – contrariamente a quanto affermava a suo tempo Otto von Bismarck – di afferrare l’occasione più sfavorevole per attuare ciò che si ritiene utile e conveniente. La verità è che questa crisi, recessione, stasi, ristagno (in qualsiasi modo la si voglia definire) dell’economia e della finanza pone l’industria davanti a un importante interrogativo: si sta lavorando per poter avere accesso a tutte le fonti di risorse e alle opportunità possibili presenti sul mercato nazionale e internazionale? A questa domanda la stragrande maggioranza delle nostre aziende non può che dare una risposta negativa: occorre forse ricordare che, per cento contenuti acquistati all’estero, esportiamo – nella migliore delle ipotesi – lo 0,01%? O che che la nostra regolamentazione in materia di diritti impedisce – tra le altre cose – alla quasi totalità dei nostri produttori indipendenti di avere accesso ai finanziamenti europei Media? E poi: quanti sono i canali di editori italiani presenti sulle piattaforme d’Oltralpe, e quanti quelli di matrice Usa o Uk presenti sulle nostre? Quanti sono i nostri operatori disposti a fare sistema?
Insomma, questa recessione potrebbe davvero essere la sveglia per spingere le aziende a darsi un’impostazione esclusivamente pubblicitariocentrica, e a concentrarsi definitivamente sullo sfruttamento del prodotto editoriale su diverse piattaforme e non più solo sugli spazi tra un programma e l’altro.
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