La7, De Benedetti non è la cura
Diciamoci la verità, quella che nelle scorse settimane è stata considerata la notizia del mercato – la vendita di La7 – non è una notizia. Perché ormai da anni si assiste alla giostra dei presunti o reali potenziali acquirenti (da Ben Ammar a DeAgostini, passando per Rcs, Bertlesmann, emiri vari, Murdoch, De Benedetti e chi più ne ha più ne metta), e lo stesso amministratore delegato di TiMedia, Giovanni Stella, dichiarava a Tivù nel maggio del 2010 che era pronto a cedere La7, unitamente a Mtv. La necessità di un disimpegno di Telecom sul fronte televisivo, in quanto non core-business, è sempre rimasta nell’aria, solo che prima – gestione Tronchetti-Campo Dall’Orto – la rete era una tale voragine senza fondo che nessuno sano di mente avrebbe avuto interesse ad acquistarla, ancor più al prezzo astronomico a cui la proprietà, nel tentativo disperato di arginare i danni, intendeva cederla. Fu così che quattro anni fa Stella venne chiamato da Franco Bernabè all’alto incarico di risolutore: che non è mai stato quello di portare i conti in nero, impresa pressoché impossibile, bensì di sanare il sanabile per rendere più appetibile La7 agli occhi di un provvidenziale quanto temerario acquirente. Exploit di Enrico Mentana a parte, con i risultati degli ultimi mesi – troppo poche volte eccellenti, spesso modesti, quando non scarsi – la situazione della rete si è stabilizzata, e per aumentare di qualche punto lo share probabilmente oggi bisognerebbe investire cifre maggiorate. Da qui, presumibilmente, la recente accelerazione sulla vendita, prima che l’effetto Mentana sulle audience si esaurisca del tutto. Intendiamoci, La7 è una buona – a volte ottima – rete, ma è il modello di business che sta dietro a risultare, come dire, fuori mercato. Perché a parte l’innegabile aggressività della sua concessionaria, i costi dei contenuti – per quanto calmierati dai vari accorgimenti adottati da Stella – rimangono nel complesso proibitivi. Ecco, i contenuti. Già nell’era Tronchetti, quando cioè la rete viaggiava a una perdita media di mezzo milione al giorno, si era capito che rappresentavano la chiave di volta. Non a caso nell’estate 2006 l’allora ad di Telecom organizzò una strombazzatissima gita in barca per le isole greche insieme a Murdoch e Ben Ammar per gettare le basi di un’alleanza sui contenuti che alla fine però non andò in porto. Lo stesso dilemma si pone adesso. La7, se vuole sopravvivere rispetto a Rai, Mediaset e, perché no, anche a Sky, che avendo più canali possono operare in regime di economie di scala (anche sotto il profilo della raccolta adv), ha un disperato bisogno di robuste iniezioni di buoni programmi a buon mercato. Ergo, logiche di multiplex a parte, per l’emittente un’eventuale cessione a De Benedetti et similaria sarebbe solo un palliativo e non la cura, anche perché non è che gli editori cartacei – come dimostrano ampiamente le esperienze dello stesso gruppo l’Espresso e Rcs – trasposti in tv facciano sfaceli… Eppure il mercato televisivo ha l’imprenscindibile necessità di una La7 in salute. Quindi, se vendita dovesse essere, c’è da augurarsi che siano gruppi del genere di Rtl, DeAgostini, NewsCorp. a farlo… Oppure, e a quanto risulta è un’ipotesi che la proprietà ha in passato respinto, bisognerà trovarsi non un socio di capitali o d’affari (come sarebbe Cairo), bensì un (robusto) socio di contenuti. Forse è solo così che si potranno salvaguare quei valori della rete, tanto cari all’ad Bernabè…
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