Perché parliamo di social tv
Dedicare una copertina al fenomeno della social tv nel momento in cui tutti i grandi broadcaster sono impegnati in manovre di ottimizzazione (leggasi, redazioni che vanno e vengono con innegabile perdita di posti di lavoro), mentre le concessionarie sono impegnate a difendere con le unghie e con i denti i loro spazi dall’assedio dei colossi web, in Rai si gioca l’ennesima partita del tutti contro uno e viceversa, e i pensatoi per i palinsesti autunno-inverno sono in fermento, può sembrare quasi un tentativo di rimozione.
Ma come? Con i problemi contingenti che ci sono, si sposta l’attenzione sui social? Ebbene sì, perché proprio in un momento in cui si potrebbe dire tutto e il suo contrario (come avviene del resto quotidianamente sui giornali e nei corridoi delle aziende audiovisive), porre l’attenzione sui contenuti, sulle loro diramazioni tecnologiche e sulle implicazioni di business che ciò comporta, può tradursi in una boccata d’ossigeno in mezzo a tanto clamore.
Soprattutto perché, a ben guardare i servizi che compongono il dossier a cui dedichiamo la cover story, i risultati trimestrali e la nuova funzionalità della Nielsen Social Content Ratings, unitamente ai risultati dell’Osservatorio Social Tv dell’Università La Sapienza di Roma, indicano come da una fase di studio e di monitoraggio e osservazione quasi passiva, si è giunti alla necessità di un cambiamento di paradigma. Per dire, è arrivato il momento per i broadcaster di fare di necessità virtù e di prendere saldamente le redini della gestione del fronte social dei loro contenuti, per trasformarli in driver del loro core business: la televisione sempre, comunque e ovunque. Visto che cresce (seppur ancora in misura non importante, ma significativa per intravederne una tendenza) il numero degli utenti – per lo più giovani – che decide di accendere la tv dopo aver verificato che se ne sta parlando sui social media, o perché si segue l’account di conduttori e attori protagonisti dei programmi, nonché gli account ufficiali di quest’ultimi.
L’obiettivo dichiarato è che si vuole condividere il programma preferito e interagire con esso attraverso gli spazi online dedicati, nonché commentarlo nelle chat, nei fan club e nei gruppi di discussione. Il tutto in un contesto entertainment che diventa anche ludico e di shopping: si gioca con le app di game legate allo show e si interagisce con gli spot attraverso un dispositivo mobile per fare acquisti on line anche di prodotti mostrati all’interno del programma. Insomma, fermo restando che non si è ancora ai livelli di un’abitudine generalizzata da parte della platea tv, tuttavia si profila un ampio terreno d’attività per reti, produttori, agenti e talenti, che va arato e dissodato soprattutto per non lasciarlo in pasto a operatori e utenti che non saprebbero resistere alla tentazione di appropriarsi di ogni margine lasciato colpevolmente vuoto. Ma occorre fare tutto questo presto e bene, resistendo alla tentazione di lasciar cadere questa opportunità ricorrendo a facili scorciatoie. Come dire? Non basta creare una app o inserire nel cast di un programma un blogger per pensare di aver assolto a tale compito. Occorre studiare e provare, riprovare e sperimentare in continuazione, consapevoli del fatto che sarà sempre la personalizzazione della risposta al pubblico a fare la differenza in termini di efficacia. E, almeno qui, si dovrà imparare a fare a meno di format precotti…
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