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Non conosco personalmente il nuovo direttore generale della Rai, Lorenza Lei, ma – come tutti coloro che si interessano delle vicende di viale Mazzini – ne ho sentito parlare molto. I giudizi sono discordanti, si va da donna di ferro a «nulla più che una segretaria di direzione», a figura apprezzata dagli aziendalisti e Oltretevere. Di certo, come tutti i dg di cui si abbia memoria, ha un mandante, Silvio Berlusconi, che non le agevola il lavoro se – a poco più di una settimana dal suo insediamento – fa campagna elettorale minacciando di non voler più pagare il canone (e di conseguenza facciano altrettanto tutti i suoi elettori…) fintanto che in Rai ci saranno programmi come Annozero e Ballarò. Ma tant’è. Tuttavia, mandanti e giudizi più o meno interessanti e interessati a parte, l’arrivo di Lorenza Lei alla direzione generale di un’azienda, francamente in grave difficoltà come la Rai, induce a nutrire qualche speranza. Non tanto e non solo perché è una donna, altre donne l’hanno preceduta, per esempio, alla presidenza, Letizia Moratti e Lucia Annunziata, senza incidere granché sul tran tran aziendale, ma è anche vero che il loro ruolo era decisamente meno operativo. La Lei induce a ben sperare perché è soprattutto una manager che conosce l’azienda dal di dentro. L’ha vissuta da consulente e poi da dipendente prima di assurgere alla massima carica, ne conosce gli umori e le ugge. E da una Lei che sappia essere autorevole senza essere autoritaria, probabilmente, un’azienda iperpoliticizzata e che ha smarrito via via il senso del prodotto editoriale per appiattirsi suo malgrado sul modello commerciale, potrebbe accettare quelle decisioni drastiche che un Mauro Masi qualsiasi non ha saputo, non ha voluto o – più realisticamente – non era capace di prendere. Convince la sua decisione di rendere operativa una riorganizzazione interna, in precedenza solo sbandierata, in direzioni di genere. Come convince la sua volontà di dare una rinfrescata ai prodotti, pare anche a quei talk show vituperati dal premier, ma che l’azienda da lui fondata, Mediaset, tanto invidia alla Rai (per audience e quindi mole di spot). Le hanno dato solo un anno di tempo, prima che scada il mandato dell’attuale cda e se ne insedi un altro. Poco, troppo poco. Un lasso bastevole solo a raccogliere le idee e a impostarle, piuttosto che a metterle in pratica. Soprattutto in Rai, dove solo per scrivere il contratto di servizio c’è voluto un anno e mezzo in più di tempi supplementari… Vista a meno di due settimane dal suo insediamento, Lei pare avere il background e gli appoggi giusti per durare, bisognerà capire se la sua sarà una volontà sufficiente a non farsi non tanto inebriare dalle lusinghe del ruolo, quanto se saprà rimanere sufficientemente lucida da discernere tra ciò che è bene per il servizio al pubblico che l’azienda che dirige deve espletare, e quanto è nell’interesse dei suoi mandanti. Se fosse così, all’azienda e ai suoi dipendenti la sorte offrirebbe una chance che – dato lo stato di prostrazione in cui versa – potrebbe essere l’ultima in vista dell’ormai prossimo switch-off digitale. Dopo di che non ci saranno tempi supplementari, perché con l’arrivo sul Dtt di Sky gli equilibri dell’offerta free potrebbero cambiare, e non certo a favore di viale Mazzini. È quindi una pesante responsabilità quella che grava sulle spalle del nuovo direttore generale, anche per le speranze che sta alimentando in chi ha a cuore il destino della Rai. A lei il difficilissimo compito di lavorare affinché tra un anno nessun politico, consigliere d’amministrazione et similaria possa avere il coraggio di assumersi la responsabilità di fare fuori un dg che ha ben operato.
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