Unieuro è diventata public company. E adesso?
L’anno si è aperto con una importante novità per Unieuro. Italian Electronics Holdings (da qui in poi solo IEH, ndr) riconducibile a fondi gestiti dall’operatore di private equity Rhône Capital, ha completato la procedura di accelerated bookbuilding cedendo a investitori istituzionali circa 3,5 milioni di azioni ordinarie detenute in Unieuro, corrispondenti a circa il 17,6% del capitale per un totale di 46 milioni di euro. Il collocamento coinvolge l’intera partecipazione residua detenuta da IEH nella società di Forlì. In seguito a questa operazione, il flottante di Unieuro supera la soglia dell’85%. È una notizia positiva? Certamente per Unieuro sì, tanto che lo stesso ad Giancarlo Nicosanti Monterastelli afferma che “la completa uscita dell’ormai ex socio di maggioranza Rhône rappresenta un nuovo passaggio storico. Unieuro diventa oggi una società a capitale diffuso, una delle rare public company italiane”.
Ora, la vera domanda da porsi è: come impatta questa novità all’interno di Unieuro e fuori, sul mercato? In altre parole, cosa cambia? Tutto e niente. Niente perché non ci saranno conseguenze rispetto all’approccio commerciale dell’insegna. Come lo sappiamo? Per spiegarlo, dobbiamo fare un passo indietro. Unieuro, fino a 15 anni fa, era una società che aveva dimensioni diverse ed era di matrice familiare, con una copertura territoriale poco più che regionale. All’epoca l’obiettivo era quello di massimizzare il ritorno per la famiglia (Silvestrini, all’epoca proprietaria di SGM Distribuzione – la società che sarebbe diventata la Unieuro di oggi, ndr) con un approccio anche nella gestione del personale e del rapporto con i fornitori tipico di una realtà medio piccola. Tra quella fase di vita e quella attuale c’è stato il private equity che, entrando a gamba tesa nel capitale aziendale, ha imposto le sue logiche capitalistiche e globali. Rhône non ha però mai partecipato alla gestione del business direttamente, ma tramite dei suoi emissari. Addirittura, pochi mesi dopo il suo ingresso nel capitale Unieuro, uscì dal consiglio di amministrazione affidando il controllo al comitato direttivo. Perché? Evidentemente il fondo ritenne che le persone che c’erano già fossero qualificate per accelerare e per cambiare passo portando avanti una strategia dal respiro molto più ampio. La scommessa portò buoni frutti (inutile rimarcare chi è oggi Unieuro, che copertura ha l’insegna del territorio e gli ingenti investimenti sostenuti negli anni per crescere sotto ogni punto di vista). Ecco che quello stesso management, che era presente all’epoca della proprietà dei Silvestrini e che c’è stato per 15 anni sotto il cappello di Rhône, adesso si dovrà occupare di questa ulteriore transizione che definisce una nuova fase di Unieuro a ‘società quotata con un azionariato diffuso’. Se è vero che il management di Forlì si è andato rafforzando (con l’ingresso di Bruna Olivieri per la multicanalità e Italo Valenti per la parte finanziaria. Non ultimo, Gabriele Gennai alla direzione commerciale), le persone che decidono – passateci il termine – in Unieuro sono sempre le stesse e anche la strategia non cambierà, così come gli obiettivi da raggiungere: i rendimenti in termini di creazione di valore (che sono i dividendi e gli aumenti del prezzo del titolo direttamente connessi alla redditività aziendale) che si dovevano garantire al fondo oggi sono pretesi dagli azionisti piccoli e grandi che hanno acquistato le azioni Unieuro. Se la strategia per essere redditivi è assodata e porta (evidentemente) frutti, perché cambiarla?
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