Work in progress
Nei mesi scorsi abbiamo continuato a chiederci – e a chiedere – se e come i broadcaster tradizionali e gli Ott sarebbero riusciti a cristallizzare le audience record registrate durante le chiusure della popolazione per causa covid. Perché – archiviata, si spera prima possibile, l’emergenza – il rischio è che si disperda il patrimonio di ascolti accumulato in questi lunghi e difficili mesi. Un assestamento, ovviamente, è inevitabile e naturale, addirittura doveroso, ma la misura e le ragioni del ridimensionamento della platea sono tutte da stabilire e da modulare, in quanto è ipotizzabile un ritocco verso il basso per tutti.
Come sempre a fare la differenza saranno le offerte, i contenuti, dopo di che conterà soprattutto come e quanto ciascun operatore sarà capace di mettere a frutto il background maturato durante questa lunga cavalcata pandemica. Un periodo in cui gli italiani hanno dimostrato di essere di fatto meno restii all’on demand di quanto sembrasse, e più fedeli alle generaliste di quanto si credesse.
Come dire? La platea tv è ora più che mai mobile, nel senso di fluida.
Che la marea stia a poco a poco tornando negli alvei ante marzo 2020, lo indicano le audience degli ultimissimi mesi, con gli indici del tempo trascorso davanti al piccolo schermo in flessione. La differenza è che adesso sappiamo che, al momento giusto e con le motivazioni adeguate, essa sarà disposta a risalire.
Sembrerebbe un ragionamento lapalissiano, ma così non è se si pensa a chi aveva pronosticato un veloce e definitivo de profundis della tv lineare per mano dell’online. Di vero c’è invece che le tradizionali vie di distribuzione tv stanno perdendo quota, mentre le smart tv si fanno portatrici sane di un nuovo immaginario televisivo, conseguenza diretta di una user experience impensabile solo fino a cinque anni fa. Tutto questo, messo insieme, la dice lunga sull’accelerazione dell’indice di complessità che è stata impressa al mercato dal rallentamento forzato delle attività produttive nel Paese.
Le smart tv si fanno portatrici sane di un nuovo immaginario televisivo, conseguenza diretta di una user experience impensabile solo fino a cinque anni fa
Archiviata definitivamente l’era in cui per portare a casa il risultato era sufficiente saper programmare e controprogrammare il proprio competitor (da allora sembrano passate ere geologiche, ma era appena qualche lustro fa), nel business tv post-pandemico si profila chiaramente un’agenda secondo la quale bisognerà fare molto meglio quello che già si faceva prima – i contenuti –, essere capaci di inserirli in un’ottica di competizione più ampia (nazionale e internazionale, di flusso e on demand), adottare tecnologie evolute per farli usufruire proficuamente dall’utente (usability e discoverability), ampliare la propria disponibilità a fare sistema (aggregazioni di app) e reperire risorse aggiuntive (adv, pay tv, ppv).
Insomma, l’andamento dei consumi dell’ultimo anno ha messo a nudo l’elevato grado di sofisticatezza raggiunto da un mercato che continua a essere di fatto un perenne work in progress.
(A questo link, le istruzioni per il download di Tivù di maggio)