Il PUZZLE dell’aggregazione
Di più non sempre è meglio. E lo dimostra la marea montate di contenuti, più o meno pregevoli (a tratti inutili), che gli Ott sfornano a getto continuo – spesso a insaputa dei propri clienti – generando un livello di assuefazione e un disagio da assedio che in una certa fascia di spettatori addicted lambiscono ormai i livelli di guardia.
Ecco perché è quanto mai condivisibile l’uscita di David Zaslav, Ceo della neo-formata Warner Bros. Discovery, quando ammonisce a reti unificate che non gli interessa vincere «la guerra della spesa», ovvero gli investimenti che le piattaforme annunciano di continuo per rilanciare rispetto alla spesa dichiarata dai diretti competitor. Zaslav, infatti, specifica: «Spenderemo di più per i contenuti, ma non ci sentirete dire, “Va bene, spenderemo 5mld in più!”. Saremo misurati e intelligenti, staremo attenti». Il che detto da un manager che con la sua sola Discovery lo scorso anno ha sborsato 4mld di dollari in contenuti e intende generare 8mld di dollari o più in free cash flow, non è poco. Nella stessa occasione si è spinto a declinare le caratteristiche irrinunciabili di un Ott di successo: basso tasso di abbandono, alto utilizzo e sfruttamento da parte di più persone dello stesso nucleo famigliare, un’offerta di contenuti differenziata e avvincente, e risorse da spendere nel caso in cui fosse necessario investire per fidelizzare i clienti e migliorare l’Arpu.
Non pochi ci hanno letto una critica all’abbuffata di questi ultimi anni, dove le piattaforme – anche in Italia (figurarsi all’estero) – sono diventate fameliche di titoli. A tratti a prescindere anche dalla qualità degli stessi e dalla loro corrispondenza con il contesto. Come dire? La mole di contenuti da soli non basta. Secondo uno studio di Interpret, negli Usa gli spettatori si abbonano a una media di 4-5 servizi Svod e la maggior parte accede anche a più servizi on-demand supportati da pubblicità o finanziati da pubblicità. Troppi, anche per ammissione dei diretti interessati, visto che continua a non imporsi un servizio di aggregazione unitario per poter gestire e cercare i titoli disponibili e capace di supportarli e anche rimuovere i punti deboli dal processo di abbonamento.
La sfida – che è insieme commerciale e tecnologica – punta a ricomporre quello che certi addetti ai lavori definiscono il “puzzle della aggregazione”, ma è anche editoriale nel momento in cui occorre individuare una strategia produttiva e d’acquisto meno quantitativa e comunque – se proprio non si vuole scomodare il termine qualità – meno ondivaga. La sensazione è che nella profilazione dell’offerta non si sia ancora trovata la quadra per interpretare e sfruttare al meglio i dati che i singoli utenti forniscono alle piattaforme, con evidente danno anche per la fidelizzazione del cliente e per le opportunità di abbonamenti e di raccolta adv.