Lo streaming e l’Europa Linda Parrinello che NON C’È
Cosa ci dice l’annuncio della fusione tra la WarnerMedia del colosso delle comunicazioni Usa AT&T e un gigante dei contenuti come Discovery? Certo racconta, come hanno osservato i più, che così facendo entrambi entrano a gamba tesa nella partita globale dello streaming in cui al momento se la giocano soprattutto Netflix e Disney+, con Amazon (che peraltro sarebbe anche’esso a un acquisto, quello di Mgm) al seguito. Indica che come non mai la proprietà dei cataloghi è il terreno fertile su cui piantare nuove offerte di contenuti: se non hai una storia e un brand alle spalle, fatichi a costruir teli, vista la portata della competizione. Dice che ormai quello dello streaming sta diventando sempre più un affare contraddistinto da oligarchie, da una parte i colossi che possono permettersi di investire diverse centinaia di milioni di dollari, se non miliardi, in produzioni e, dall’altra, i servizi locali e territoriali nati nei singoli Paesi, che per ovvie ragioni hanno a disposizione risorse limitate. E dimostra altresì che – come accaduto nell’hi tech – l’Europa continua a stare a guardare i soggetti a stelle e strisce gestire il business sul suo territorio.
Non si tratta ovviamente di recriminare o demonizzare l’accaduto, qualcuno direbbe “è il mercato, bellezza!”, ma solo di inquadrare un dato di fatto. Ma mi chiedo: è possibile che gli Usa siano stati capaci di generare almeno (ma non solo) tre soggetti top dell’on demand mondiale e l’Europa neanche uno? Che ne è della capacità creativa del Vecchio continente? Proprio in queste settimane in cui si è chiusa l’interminabile querelle tra Mediaset e Vivendi, per quanto abbia avuto una fine ingloriosa – in cui certo il Biscione ha perso – non si può tacere che comunque l’intuizione di creare la base per una piattaforma di contenuti di matrice europea fosse corretta. Quindi, a voler essere precisi, neanche i francesi hanno vinto.
Oggi, malgrado servizi pubblici di buon livello e operatori privati intraprendenti, non esiste un’offerta streaming made in Europe attiva nel continente. E dire che i contenuti non mancano. Così come non esiste di fatto un broadcaster che abbia scelto l’Europa come proprio perimetro d’azione. Per certi versi, a livello continentale, si proietta lo stesso schema dell’impostazione industriale italiana: eccellenti piccole e medie imprese che agiscono sul proprio territorio coprendo all’estero gli spazi lasciati liberi dalle multinazionali. Certo, i nostri broadcaster a livello nazionale non sono aziende né piccole né medie, ma a livello internazionale sì.
Viene da pensare che si fa sentire l’assenza di un soggetto industriale europeo in grado di muoversi in termini strategici, e con la Brexit la fattibilità di un simile progetto si è allontanata ancora di più. Viene da dire che la nascita di un nuovo colosso come quello tra WarnerMedia e Discovery va salutata come un’opportunità competitiva di cui godranno certamente i fruitori dei loro servizi. Ma viene anche da aggiungere che per quanto spazio e disponibilità queste piattaforme diano ai contenuti europei, sarebbe diverso se un soggetto continentale riuscisse a penetrare all’interno del mercato Usa e imponesse una versione inedita di fare streaming.