Cosa insegna il caso Remail

Della vicenda – ancora in atto – di Remail, l’azienda nota per le televendite che è stata recentemente oggetto di sanzione da parte dell’Agcm (vedi notizia a pag. 14), quello che ci è rimasto impresso, non è il caso in sé – non siamo gli interlocutori adatti a giudicare l’accaduto – ma il posizionamento acquisito sul mercato:16,4 milioni di euro di fatturato e oltre 20 mila clienti nel 2014 (nel solo periodo che va dal 20 maggio al 16 settembre scorso – durante il quale è andata in onda una promo Tv – ha concluso ben 6.528 vendite). Le cifre sono a dir poco sorprendenti, soprattutto se le si contestualizzano all’interno di un settore nel quale, già da tempo, i player lamentano un forte calo generale della domanda. Eppure, questi numeri evidenziano almeno tre fattori: che ci sono ancora molti bagni di vecchia concezione da rinnovare, che c’è un forte orientamento del privato verso una stanza più funzionale e pratica, e soprattutto che, per rispondere a una precisa esigenza, il consumatore è disposto ancora a spendere. Quindi, ci siamo posti alcune domande: perché Remail è diventata interlocutore di riferimento, mentre i produttori e i retailer che offrono lo stesso prodotto e servizio fanno fatica a venderlo? Perché, nonostante la specializzazione e i servizi di alto livello di showroom e dei fornitori, i privati cominciano a prendere in considerazione anche altri canali di vendita? Qualcuno penserà che il successo di questa azienda sia da ricondurre esclusivamente alla vendita diretta. Noi però non ne siamo totalmente convinti perché quello che interessa al privato non è rivolgersi a un unico interlocutore, ma è acquistare ciò che pensa essere un buon prodotto a un prezzo che ritiene ragionevole, possibilmente con un servizio chiavi in mano rapido e ben eseguito. Se così non fosse, non si spiegherebbero i risultati in crescita di Leroy Merlin che offre lo stesso prodotto/servizio. I privati hanno acquistato Remail sí perché attirati dalle televendite e dagli sconti, ma soprattutto perché questa si è posta come unica realtà specializzata. Il suo plus è stato quello di scovare un potenziale business, di investirci e di specializzarsi, a differenza del nostro retail che, invece, non ci ha mai nè puntato nè creduto più di tanto (quanti sono, infatti, i fornitori che lamentano di non essere sostenuti dai loro partner su questo prodotto? In quanti faticano a vederli in esposizione?). E poi, la comunicazione e il marketing, usati come unico volano che ha dato i risultati sperati: diventare il solo marchio che viene in mente quando il privato pensa di sostituire una vasca con una doccia. E le nostre imprese? La maggior parte non solo non comunica a nessun livello, ma ritiene che, per non perdere una vendita, sia più strategico continuare a servire chiunque entri in negozio piuttosto che dedicarsi a un target preciso. Non ce ne vogliano i nostri lettori se generalizziamo, ma mentre Remail è andata a bussare direttamente alle case degli italiani, molti distributori ancora aspettano immobili che il privato torni in negozio; mentre Remail ha lavorato sulla costruzione di una forte brand awareness, in tanti ancora ritengono sia sufficiente essere un’insegna storica o avere i brand più noti per attirare i clienti e vendere. L’errore che commette il retail forse è proprio questo: dare tutto per scontato. Non è più tempo di essere passivi, come non è più tempo per restare fermi. Questo caso, ed è solo un esempio, dimostra che ci sono competitor agguerriti pronti a prendere le quote che lasciamo, e che ci sono canali alternativi che, giorno dopo giorno, mirano al ruolo dello specializzato. Ma anche che c’è possibilità di crescita per chi saprà creare nuove occasioni di vendita.
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