E se ricominciassimo dall’impresa?
Un mostro si aggira per l’Italia, e coincide con la crescente mancanza di considerazione che la classe imprenditoriale del nostro Paese nutre presso un ampio arco di istituzioni, centrali e locali, così come presso un certo tipo di informazione. Questo perché aleggiano nell’aria meccanismi di natura populista che guardano con sospetto chi articola ragionamenti complessi in ordine al pil e allo spread, chi sostiene politiche del lavoro d’ampio respiro o provvedimenti fiscali più lungimiranti, e che non si fidano di chi parla di innovazione e di export, nonché della necessità per il nostro Paese di costruirsi una credibilità che vada ben oltre l’enorme debito pubblico gravante sulle nostre spalle.
È quel tipo di affidabilità che di solito viene assicurata dal ceto produttivo – imprenditori e lavoratori – più sano di una nazione o dall’intellighenzia, ovvero da quegli intellettuali e pensatori che non si lasciano trascinare dalle partigianerie perché confidano nella ragione e si fanno ispirare dal proprio senso etico. Nella fattispecie, la classe imprenditoriale che in Italia (in relazione alla popolazione) è tra le più numerose al mondo, non ha ormai cittadinanza in alcuno degli schieramenti politici dell’attuale panorama. Tutti li trovano scomodi, troppo puntuti, quasi sofisti; e ciò accade perché le ragioni dello sviluppo dell’economia di un’azienda come di un Paese non possono essere riassunte nelle 280 battute di un tweet: oggi, se di una cosa non si può fare caciara sui social, non ha rilevanza alcuna. Eppure, stiamo parlando di una dimensione che ha una sua presa, anche sull’elettorato: ricordate l’immagine – allora vincente – dell’imprenditore di successo Silvio Berlusconi prestato alla politica? Per più di 20 anni gli italiani se ne sono fatti sedurre, dopo di che hanno pensato bene di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca…
Nel libro La ribellione delle imprese dell’ex manager di Atlantia, Francesco Delzio, uscito nei mesi scorsi, si vagheggia di una discesa in piazza di manager e imprenditori a fianco di sindacalisti e lavoratori, di una politica che punta sulla redistribuzione della ricchezza anziché su sicurezza e identità, della rendita che ha avuto la meglio sul premio, di cultura della garanzia che si è imposta su quella dello sviluppo. Ecco, credo che di tutto questo ogni cittadino che abbia a cuore le sorti del proprio Paese e delle generazioni future dovrebbe concentrare la sua attenzione. Perché vedere l’Italia con gli occhi di un imprenditore o di un manager equivale a esercitare quella parte di noi che ci rende responsabili anche nei confronti del Bene Comune.
Vito Sinopoli
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