L’ecatombe delle imprese
Ultimamente si fa un gran parlare degli Anni Venti, di come quel periodo abbia rappresentato una pausa breve e rutilante tra la prima e la seconda delle guerre mondiali. Al che una riflessione mi è sorta spontanea: e se gli attuali fossero per noi altrettanto? E se la fase che stiamo vivendo fosse solo un intermezzo – assai meno rutilante – tra una prima e una seconda crisi globale che ci aspetta dietro l’angolo? Lo so, il parallelismo è forte, ma al di là delle profezie di sventura che ogni periodo ispira di default, risalta agli occhi come ormai l’Occidente in generale, e l’Italia in particolare, rischino l’osso del collo: l’Europa poi è ormai il vaso di coccio tra quelli di metallo di Cina e India, nonché qualche Paese Arabo, e i sempre più liberisti a senso unico Stati Uniti.
In un Vecchio Continente a brandelli, dove ogni governo appena fa sbaglia (vedi la Brexit di Johnson, il tramonto di Macron, l’imminente sostituzione della Merkel, il nazionalismo dei novelli partner dell’Est, la debolezza di Sanchez) il nostro Paese rimane drammaticamente maglia nera. Perché la questione – come tutte quelle che coinvolgono dalle fondamenta la collettività – non è tanto politica, quanto economica. Infatti, il tragico bollettino di guerra che nessuno vuole ascoltare parla di 250 aziende italiane che chiudono ogni giorno, (per non parlare delle ricadute del coronavirus) creando da un mimino di 250 a un massimo di mille e più disoccupati. È un’ecatombe che si consuma nel silenzio generale, imputabile a un carico fiscale inusitato e a un costo dell’energia insostenibile. Per dirne una, come denunciato di recente dal presidente di Confimi, Paolo Agnelli, solo negli ultimi cinque anni sono stati introdotti più di 53 nuovi adempimenti oltre alle innumerevoli sanzioni «a dimostrazione del pregiudizio per cui le imprese sono potenziali evasori da punire» a prescindere: sempre e comunque. Come dire? Il Paese vuole correre – almeno la parte più produttiva e competitiva – ma chi lo guida ha cura di azzoppare uno a uno i cavalli destinati alla gara…
E dire che aldilà dei politici improvvisati e incompetenti che si sono assunti responsabilità criminali sulla mancata ripresa del Paese, la soluzione (almeno quella essenziale per poter cominciare a risalire la china) sarebbe stata già individuata: la riduzione del cuneo fiscale a carico delle aziende, ma una quota significativa e non quella ridicola parvenza che dovrebbe entrare in vigore il prossimo luglio… Solo questo provvedimento, da solo, sarebbe in grado di ridare ossigeno a quelle realtà produttive che non ce la fanno più a reggere il carico. Eppure, non si riesce a trovare un, dicasi uno, politico in grado di assumersene l’onere. A riprova che i temi del lavoro e delle imprese in questo Paese continuano a rimanere dei tabù.
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