La produttività e l’effetto colino
Cosa succede se versiamo una caraffa d’acqua in un colino?
A prima vista sembrerà riempirsi, ma – immediatamente dopo – lo vedremo svuotarsi e tornare alla situazione precedente. Cosa succederà alla nostra economia quando verranno versati nei suoi canali le risorse del Pnrr? Probabilmente la stessa cosa: a prima vista si avrà un effetto abbondanza, ma poi scorreranno via velocemente ristabilendo la situazione antecedente. A meno che… A meno che non si metta mano al nodo cruciale della produttività del Paese, cresciuta poco negli ultimi anni e addirittura pericolosamente diminuita nel 2019, quindi già in fase pre-Covid. Secondo l’Istat, infatti, dopo anni di lentissima crescita, nell’anno di riferimento la produttività del lavoro è scesa dello 0,4%, quella del capitale dello 0,8%, anche a fronte di un monte ore di lavorato in crescita e a una tenuta degli investimenti. Il che significa che non riusciamo a far fruttare come dovremmo le tecnologie e le prestazioni lavorative. Rispetto all’Europa, poi, siamo il solito fanalino di coda.
Secondo Eurostat, infatti, nei 28 Paesi tra il 1995-2019 la media della produttiva da lavoro segnava un 1,6, a fronte di un misero 0,3% dell’Italia: Francia 1,3%, Regno Unito 1,5%, Germania 1,3%, e anche la non brillante performance della Spagna (0,6%) si assestava comunque al doppio del nostro valore. Questo ci dice che nella fase post-pandemia all’Italia non basterà fare bene, non sarà sufficiente eguagliare gli altri Paesi nella ricostruzione, ma dovrà sopravanzarli di gran lunga. E questo solo per metterci in pari. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, come si fa a volte in cerca di una via di fuga che spesso coincide col nascondere la testa sotto la sabbia, perché – sempre in base ai dati Eurostat – nel 2019 anche la produttività totale dei fattori, che misura il progresso tecnico e i miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi, è scesa dello 0,5%. Quindi, c’è ben poco da stare allegri. Che fare?
Tornando alla metafora del colino, servono un addensante e un moltiplicatore. Il primo potrebbe essere la creazione di un sistema che freni il drenaggio di energie e risorse, e acceleri l’approvvigionamento di liquidità del fronte produttivo: sburocratizzazione e semplificazione di tutte le norme – anche fiscali – che riguardano il lavoro e le imprese, nonché provvedimenti per favorire la quotazione in Borsa delle medie imprese (e farle crescere di dimensioni) e l’utilizzo del risparmio privato per finanziare le attività produttive. Il secondo è senza ombra di dubbio il digitale, come spiega bene su questo numero di Business People (a pag. 42) Franco Mosconi, ordinario di Economia industriale a Parma, quando sostiene che l’Europa – per competere con Usa e Cina – dovrebbe puntare su una transizione digitale fatta «di industria 4.0, delle reti 5G, della trasformazione del panorama industriale grazie all’introduzione nei processi produttivi delle tecnologie abilitanti (intelligenza artificiale, stampante 3D, ecc.)…
Serve una grande rete paneuropea 5G e aiutare tutte le imprese Ue ad abbracciare la quarta rivoluzione industriale». Lo so, non è impresa facile, ma si tratta di un passaggio ineludibile. E qualcuno dovrà prima o poi farlo. E se non in seguito alla più grande crisi pandemica globale, quando?
Vito Sinopoli
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