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Da qualche stagione a questa parte, la Golden Age della fiction italiana sembrava cosa fatta: serie tricolori che planano sulle piattaforme Ott, sceneggiature dal piglio internazionale, una qualità media sempre più sbandierata come cinematografica. Solo che, a ben guardare i dati della ricerca condotta dall’Osservatorio della fiction per conto dell’Associazione produttori audiovisivi (cfr. pag. 36), quella che sta attraversando la produzione seriale nazionale appare piuttosto una Silver Age. Perché se è vero che produciamo meglio – editorialmente parlando –, è altrettanto vero che non produciamo di più. Anzi, nella stagione 2018-2019 sono state realizzate poche ore in più rispetto alla precedente, la quale non aveva certo brillato per incrementi significativi. Basti qui ricordare che nel 2006-2007, Rai e Mediaset insieme avevano programmato 799 ore di fiction originale contro le 437 della stagione presa in esame. Come dire? Non c’è proprio paragone… e non saranno certo le offerte di Sky, Fox, TimVision, Netflix e Amazon a pareggiare i conti. Ci rimane la qualità, però, che non è poco, anche se non abbastanza per mettere al sicuro il settore. Una qualità che solo i cinefili si ostinano a sovrapporre a quella dei film, perché quella delle fiction – o serie che dir si voglia – ha ormai da tempo elaborato un parametro qualitativo proprio, che nulla ha da invidiare alle storie che si vedono in sala. È vero, i due mondi che per anni hanno continuato a viaggiare su binari paralleli – a volte guardandosi l’un altro con sufficienza (il cinema) e disappunto (la fiction) – sono finalmente diventati sempre più prossimi: interagiscono, si sostengono passandosi anche il testimone. Ma rimangono – a voler usare una metafora – due strumenti differenti, seppur in grado di suonare il medesimo spartito. Ecco quindi che modalità di produzione diverse, così come metriche estetiche, costruzione dei personaggi, modalità di fruizione, caratterizzano la portata industriale dei due mercati, arricchendoli e rendendoli più moderni e più in sintonia con i gusti del pubblico di quanto non riesca a fare, per esempio, l’intrattenimento. Stiamo parlando di due mondi che finalmente hanno capito di somigliarsi e di poter dialogare e scambiare esperienze e know how. È una nuova maturità espressiva e produttiva quella che si profila all’orizzonte, ma c’è bisogno che essa possa dire sempre più insistentemente la sua non solo in patria ma anche sui mercati internazionali. Perché è lì che si compete a livello globale, e si intercettano gli investimenti più significativi, ed è lì che ci si può misurare con storie, linguaggi e mondi differenti dal nostro. Anche perché la diversità stimola la creatività e la competitività, elementi di cui la nostra fiction e il nostro cinema hanno più che mai bisogno.
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