Perché conviene la convenienza
C’è un vizio tutto italico che mi infastidisce ogni volta che lo sento praticare (il che accade, purtroppo, molto spesso). Ed è che quando si vuole screditare, in politica come nel business, la proposta o l’azione di un avversario, si ricorre alla solita scappatoia del «Certo, dice questo perché a lui conviene! Ha il suo tornaconto!». Così, sul malcapitato cade di default il velo dell’opportunista, lo stigma di chi penserebbe, parlerebbe e agirebbe solo nel proprio interesse, mentre il dito accusatore di chi invece opera (a suo dire) solo e soltanto, sempre e in qualsiasi situazione per il bene altrui indica il suddetto malcapitato al pubblico ludibrio.
Per inciso, questo campione di altruismo di solito è lo stesso che quando vede che il suo vicino ha una bella macchina o una bella casa non si complimenta per le capacità che deve aver dimostrato per procurarsele, ma lo sminuisce perché chissà come le avrà guadagnate, facendo intendere comportamenti non proprio cristallini… Tecnicamente si chiama invidia sociale, praticamente si tratta di incapacità a vedere e apprezzare le capacità degli altri. Come quella di saper creare valore per il bene comune, il cui concetto di comunione è lapalissiano che includa il soggetto che agisce, altrimenti che bene “comune” sarebbe? Anzi conviene che sia così, perché ciò lo motiverà a operare al meglio e a perseverare.
La crescita sociale, culturale ed economica si basa da sempre sull’agire e sull’intraprendenza di chi – perché interessato a un guadagno, al successo, alla gratificazione artistica, a veder realizzato un proprio sogno – ha prodotto o creato un qualcosa. La stessa beneficenza, il volontariato, è un’attività che è nell’interesse non solo di chi la riceve: migliorare le condizioni di vita delle persone in difficoltà, nella pratica crea una società più giusta e vivibile per tutti. Quindi, fare “anche” il proprio interesse – se si rispettano le leggi e le libertà delle persone – è una conditio sine qua non per il progresso. Perciò bisogna diffidare di chi predica di operare in pieno, assoluto e asettico disinteresse, perché delle due l’una: o sta mentendo, o è – più banalmente – un incapace.
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